The Temptation of St. Tony

Tony è un manager di 40 anni, ricco e felicemente sposato. Inizia improvvisamente a riflettere sul senso della sua esistenza, ad un'età avanzata, in un panorama di crudeltà e indifferenza.
    Diretto da: Veiko Ounpuu
    Genere: drammatico
    Durata: 110'
    Con: Taavi Eelmaa, Ravshana Kurkova
    Paese: EST, FIN
    Anno: 2009
7.8

“Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura, che la dritta via era smarrita.”Al principio di The Temptation of St. Tony, magnifica seconda opera del regista estone Veiko Õunpuu, non poteva essere messa effige più esaustiva. Soprattutto quando la citazione dantesca viene immediatamente seguita dalla prima inquadratura: un gioco prospettico raffigurante una copertina de Le vite dei Santi decorata con impressioni a secco, origine del meraviglioso piano sequenza di un funerale.

E’ quello del padre di Tony, il nostro smarrito protagonista. Come un’opera antica e universale, come i Salmi, la scansione narrativa è divisa in capitoli contrassegnati da numeri in latino; i canoni di una dissertazione spirituale vengono proclamati in maniera inequivocabile.
In questa trasfigurazione di tutti i dilemmi interiori in allegorie visionarie, il bianco e nero concorre in maniera decisiva. Non un semplice esercizio stilistico, un omaggio all’espressionismo tedesco o al neorealismo italiano, a Pasolini, Bresson o a Bela Tarr, ma piuttosto un linguaggio rarefatto, ad inibire il pathos e riempire l’immagine di una luce diffusa, metafisica.
Sembra che in questa ricerca di una proposta pittorica, brillantemente postmoderna (dei tableaux vivants che sembrano germinare dapprima dall’iconografia classica delle sacre scritture come I sette peccati capitali di Bruegel, i lavori del Mantegna e Goya; poi passino attraverso la straordinaria sintesi di Kubin e arrivino ai graphic novel di Magnus e Frank Miller) avvenga uno scarto: l’onirico rappresentato divenga il reale prosciugato e deluso.
Sicuramente Õunpuu non si adagia su uno stile piano per tutta la pellicola, ma con sicurezza sfoggia un campionario di tecniche e modi: effetti flou, sovraesposizioni, camera a mano, 16mm; sempre necessari al discorso e padroneggiati con misura.
Le prime parole pronunciate nel film sono un interrogativo che viene scandito ben due volte: “Cos’è l’uomo?”. Tony Plumtree (letteralmente: ‘albero di susine’) è un uomo buono, forse non brillantissimo. Dopo aver ucciso accidentalmente un cane (un dazio per un precedente gesto gentile?), invaso da un profondo senso di colpa si perde in una landa brulicante di mani mozzate (come ne La Tentazione di Sant’Antonio di Max Ernst) e successivamente dentro un universo di personaggi squallidi.
Si ritrova in un vero e proprio inferno abitato da loschi figuri, uomini-sciacalli, ipocriti. Derelitti abbonati a ripetere gli stessi errori e peccati di una vita (Un uomo miracolosamente illeso da un incidente d’auto, ancora sanguinante, chiede di salire a bordo della lussuosa auto di Tony) oppure artisti presuntuosi e insensibili (Un attore, un sedicente amico di Tony, dopo aver recitato lo Zio Vanja di Cechov, lo schernisce:”Ascolta Tony, hai mai sentito questo detto: “Ci sono gli angeli in mezzo a noi, e si possono riconoscere dalla loro vulnerabilità.”
Sai una cosa, Tony? Tu sei uno di loro.” E nel frattempo consuma l’adulterio con la moglie di questo angelo annichilito).
Nessuno riesce a dargli un’indicazione, una risposta alla domanda: “E’ possibile essere buoni in questa società, in questa vita degenerata?”, neppure un prete che vive in una chiesa dispersa in una piana sterile. Tony chiede: “Riguardo al paradiso…e a tutto quello…Non so se questo è tutto ciò che la vita riesce ad offrire o se c’è dell’altro…O se ci sarà dell’altro, una specie di punizione o… Piuttosto una ricompensa.”
Chi gli risponde non è più l’uomo di chiesa ma il diavolo, probabilmente: “Sai una cosa? Hai l’anima di un comune mercante e questo è tutto ciò che sei. Nulla viene lasciato in sospeso…perfino le tue buone intenzioni dovranno essere pagate da qualcuno.”
Tony (interpretato da Taavi Eelmaa, attore feticcio di Õunpuu che nasce dal teatro e regala al film una maschera simile al Buster Keaton di beckettiana memoria) nel suo turbamento vede solo demoni che vegliano e governano i peccati capitali e le loro declinazioni: superbia, avarizia, accidia, ira, gola, invidia e lussuria. Fino ad incontrare, annunciato da un satiro naturale come l’attore francese Denis Lavant, il grande maestro di cerimonia, Satana-Herr Meister, che gli porterà via l’unica luce, la sua Beatrice, la donna che gli ha mostrato il Bodhisattva della Compassione.
Õunpuu firma un’opera millimetrica e splendente, misteriosa e spirituale come un’ abbazia dispersa tra le vette.
L’arte (e la vita) moderna, vaticinava Baudelaire, “ha una tendenza essenzialmente demoniaca…come se il Diavolo si divertisse a ingrassare il genere umano con cibi scadenti per prepararsi un piatto più succulento”. Riconoscerlo è ormai impossibile. Appare in incognito dappertutto.
Ma – sembra affermare il regista estone – rinunciare alla lotta tra Bene e Male, abbandonare la ‘scintilla’, equivarrebbe a tumulare il nostro spirito sotto la neve.

A proposito dell'autore

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Dopo una breve parentesi lombarda dedita al montaggio di film pubblicitari, torna nella sua terra, la Sardegna, per mixare questa volta dischi e suoni. Se potesse rinascere regista non sarebbe Pirlo, ma Billy Wilder o Joao ‘Vuvu’ Monteiro. La citazione che forse gli calza più a pellicola è: “Tu sei troppo serio, Orlando. E tuttavia non abbastanza”.