Still Life

John May è un uomo che nella vita svolge una mansione molto particolare: è un funzionario del Comune che si occupa di reperire i parenti di persone morte in solitudine. Quando però viene licenziato, si preoccupa di terminare un ultima pratica, per lui molto personale.
    Diretto da: Uberto Pasolini
    Genere: drammatico
    Durata: 87'
    Con: Eddie Marsan, Joanne Froggatt
    Paese: UK, ITA
    Anno: 2013
6.7

 

Still Life, opera seconda di Uberto Pasolini premiata per la migliore regia nella sezione Orizzonti a Venezia 2013, rientra appieno nella categoria “film per signore del sabato pomeriggio” – sciure, come le chiamano i lombardi – che frequentano i non molti cinema d’essai rimasti, delle medie e grandi città.

Still Life possiede proprio tutti gli elementi di quel genere di film, in cui temi, personaggi e messaggio di fondo – si, c’è anche quello – riscaldano i cuori e stimolano le menti del genere di spettatori citati fin dal titolo, desiderosi di film di “qualità” distanti anni luce (?) dai beceri film da multiplex.
Pasolini poi non è uno che spunta così dal nulla con un film del genere. Il regista italiano è anche un produttore di lungo corso che ha contribuito a portare sugli schermi, tra gli altri, un film come Full Monty (1997), che rientra anch’esso nella tanto detestata categoria.
Più precisamente, si può dire che con Still Life, Uberto Pasolini scelga un tono dolcemente triste e dimesso per raccontare la grigia e dignitosa ritualità quotidiana dello scrupoloso John May (Eddie Marsan), un impiegato comunale il cui compito è quello di organizzare funerali, e soprattutto andare alla ricerca di parenti e amici di defunti apparentemente soli al mondo.
Tutto questo finché, a causa della crisi, il suo ufficio viene accorpato ad un altro, e si ritrova improvvisamente senza lavoro, con un ultimo caso da risolvere prima del congedo definitivo. Da lì in poi non faremo altro che seguire il triste e amabile ometto nelle sue ultime ricerche.
John May è un burocrate, non di quelli detestabili sia chiaro, un personaggio programmaticamente creato per far breccia nel cuore degli spettatori, accompagnato dolcemente e placidamente dalla regia di Pasolini, fatta di piani fissi e da un’andatura narrativa pacata, dimessa e venata da una dolce e partecipe malinconia e da un pizzico di humor. Direi che il gioco è fatto.

A proposito dell'autore

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Ha fatto e fa cose che con il cinema non c’entrano nulla, pur avendo conosciuto, toccato con mano, quel mondo, e forse potrebbe incontrarlo di nuovo, chi lo sa. Potrebbe dirvi alcuni dei suoi autori preferiti, ma non lo fa, perché non saprebbe quali scegliere, e se lo facesse, cambierebbe idea il giorno dopo. Insomma, non sa che dire se non che il cinema è la sua malattia, la sua ossessione, e in fondo la sua cura. Tanto basta.