Royal Affair

Nel 1770 in Danimarca il Re Christian VII e Caroline Mathilde si sposano giovanissimi. Il temperamento di Christian è minato da una irrequietezza che lo porta a tradire ripetutamente la consorte. Caroline inizia così una relazione con il medico di corte Johann Struensee.
    Diretto da: Nikolaj Arcel
    Genere: drammatico
    Durata: 137'
    Con: Alicia Vikander, Mads Mikkelsen
    Paese: DAN, SVE
    Anno: 2012
6.6

Un film del genere avrebbe potuto essere calligrafico, stantio, polveroso, invece l’opera di Nikolaj Arcel, Royal Affair (2012) ha un cuore che pulsa (tutto sommato). L’autore mette in scena una nazione come la Danimarca di fine settecento rappresentata da un re fantoccio, puerile e schizzato come Christian VII e una regina triste come Caroline Mathilde (Alicia Vikander), (apparentemente) indifesa e fragile.

La storia che ci racconta è quella di un paese buio, di una pagina di storia sconosciuta ai più, di una figura di notevole importanza come quella di Johann Friedrich Struensee: medico illuminista che avviò il paese verso cambiamenti epocali che furono l’anticamera delle rivoluzioni di vent’anni successive in tutta Europa, della sua amicizia con il Re, che confortò e “illuminò”, e ultima, ma non meno importante, la passione proibita con la regina, alla quale diede una figlia.
L’amore è al centro di tutto, declinato nelle varie forme: il legame d’amicizia di Struensee col Re e l’amore come passione irrefrenabile che nasce con la regina.
Ma prima di ogni cosa, ciò che emerge è l’amore come volontà e desiderio di cambiamento, che il medico illuminato, una volta arrivato a corte, riesce ad infondere in loro scrollando piano piano la polvere che ammanta l’intero regno.
Arcel (ci) offre un’efficace ricostruzione storica, e l’elemento melodrammatico, per nulla retorico e stucchevole, è messo in scena con una certa misura attraverso giochi di sguardi e un’atmosfera tutta che il regista danese riesce ad infondere.
Alla pellicola sicuramente non farebbe male qualche sforbiciata qua e là, specialmente nella parte centrale, e alcune scelte registiche sono stonate, come quando a un certo punto la mdp stringe in maniera eccessivamente enfatica – per ben tre volte – sul volto di  Mads Mikkelsen.
Nonostante ciò, Arcel riesce a restituire una passione vibrante e fuori dal tempo, servita attraverso una messa in scena solida ed elegante, che non diventa perno dell’intera opera, ma strumento atto a mostrare un discorso a tratti magari sottotono, sbrigativo ed eccessivamente enfatico, ma lo fa, e non è poco.

A proposito dell'autore

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Ha fatto e fa cose che con il cinema non c’entrano nulla, pur avendo conosciuto, toccato con mano, quel mondo, e forse potrebbe incontrarlo di nuovo, chi lo sa. Potrebbe dirvi alcuni dei suoi autori preferiti, ma non lo fa, perché non saprebbe quali scegliere, e se lo facesse, cambierebbe idea il giorno dopo. Insomma, non sa che dire se non che il cinema è la sua malattia, la sua ossessione, e in fondo la sua cura. Tanto basta.