Piccola patria

Nel Nord Est dell'Italia di oggi si intrecciano alcune storie quotidiane: Luisa e Bilal, un giovane albanese, hanno una storia d'amore. Menon li osserva a distanza, tramando alle loro spalle. In particolare, il padre di Luisa, Franco, non vede di buon occhio la sua relazione con un extracomunitario.
    Diretto da: Alessandro Rossetto
    Genere: drammatico
    Durata: 111'
    Con: Mirko Artuso, Giulio Brogi
    Paese: ITA
    Anno: 2013
6

Qual è la ragion d’essere di un film come Piccola Patria? Da qualsiasi angolazione lo si guardi, il film d’esordio nel lungometraggio di finzione del documentarista padovano Alessandro Rossetto non lascia molti dubbi sulle sue intenzioni. Raccontare il Nordest dell’Italia non è certo un’impresa semplice, e infatti Rossetto è sollecito nel mostrare la contraddittorietà della provincia veneta fin dall’inizio.

Capannoni industriali, campi coltivati, case d’abitazione, strade provinciali di forte passaggio e paesaggi molto variabili si snodano senza soluzione di continuità lungo l’intero Piccola Patria. E non si tratta soltanto di territorio, ma anche di umanità.
Le molte opposizioni su cui il film è costruito, infatti, non risparmiano i tipi umani: il rapporto di Luisa e Renata si sviluppa tanto sulla complicità dell’amicizia quanto sulla loro diversità, caratterizzata persino fisicamente (bionda e femminile l’una, bruna e androgina l’altra), ma anche le relazioni tra i maschi adulti e con gli immigrati rivelano una dialettica continua e irrisolta.
Persino il sonoro (in cui spicca per invadenza il coro solennizzante dei Crodaioli di Bepi De Marzi) evidenzia la volontà della regia di rendere conto di una complessità percepita come tratto costitutivo della realtà di questa parte d’Italia. Ecco perché suona falsa, allora, la vicenda che il lavoro di Rossetto racconta: perché le schematizzazioni e le semplificazioni con cui vengono risolti i nodi della trama (il ricatto a sfondo sessuale, il malessere xenofobo del padre di Luisa) riflettono malamente gli stereotipi sociologici che troppo spesso si vanno ripetendo sul Nordest.
Piccola Patria non riesce ad evadere da una visione grossolana e, a conti fatti, molto banale del fenomeno che mette sotto la lente d’ingrandimento. Mostra una provincia veneta che sembra rimasta la stessa di Signore & Signori di Pietro Germi, solo più ricca, involgarita e ignorante, ma non sa inventare personaggi originali e del tutto credibili o staccarsi dalla superficialità.
Troppo facile stigmatizzare quella violenza romanzesca che deriva dall’incultura o quell’indipendentismo velleitario che trova sconcertante conferma nel grottesco della cronaca recente. E non vale affermare che questa è solo una storia possibile tra molte altre storie del Nordest, perché l’intento pedagogico cozza contro la genericità dell’affresco.
Con uno snobismo culturale che Carlo Mazzacurati avrebbe almeno in parte evitato, il film di Rossetto, a lungo andare anche abbastanza irritante nel suo prendersi terribilmente sul serio, è soprattutto una grossa occasione mancata.

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Ha una foto di famiglia: Lang è suo padre e Fassbinder sua madre. John Woo suo fratello maggiore. E poi c'è lo zio Billy Wilder. E Michael Mann che sovrintende, come divinità del focolare. E gli horror al posto dei giocattoli. Come sarebbe bello avere una famiglia così...