Il tocco del peccato

Tempo presente. Nella provincia cinese dello Shanxi un uomo, davanti ad episodi sempre più crescenti di corruzione, decide di farsi giustizia da sé.
    Diretto da: Jia Zhangke
    Genere: drammatico
    Durata: 133'
    Con: Wu Jiang, Vivien Li
    Paese: CINA
    Anno: 2013
8

Dopo la vittoria del leone d’oro nel 2006 con Still Life, Jia Zhangke ha presentato quest’anno a Cannes Il tocco del peccato (Tian zhu ding), dove ha vinto il premio per la miglior sceneggiatura.

Diviso in quattro blocchi narrativi dalla durata di 30 minuti ciascuno, Jia Zhangke realizza un’opera politica stratificata e complessa sulla Cina contemporanea, ma anche estremamente godibile per un pubblico meno esigente,senza abbandonare la traccia d’autore.
Il regista riesce nel difficile compito d ritrarre le contraddizioni della Cina odierna, esplosa come superpotenza mondiale, ma incapace di placare le tensioni sociali al suo interno. Jia Zhangke racconta le fiamme e il furore che abitano sotto la pelle della società, dove il controllo è dato dal potere dei soldi e dalla sopraffazione del più debole.
Quattro storie che pur essendo tra loro indipendenti, finiscono nel medesimo modo, cioè con un esplosione di violenza fatta o subita, conseguenza non provocata dalla pazzia dei quattro protagonisti, ma dalla loro semplice esasperazione.
Il minatore oppresso dalla corruzione dei suoi capi che decide di farsi giustizia da solo, il lavoratore che scopre che per sopravvivere in questo mondo devi premere per primo il grilletto,la receptionist che reagisce agli abusi maschili con la vendetta, il giovane che salta da un lavoro a un altro per scoprire solamente che davanti a se c’è solo il vuoto; sono tutti parti di un singolo mosaico, persone comuni costrette all’individualizzazione più estrema, vittime lasciate sole da una nazione che li ha abbandonati da troppo tempo e che obbliga i propri abitanti a tirare fuori il peggio di sé.
Una Cina e un mondo intero quello dipinto da Zhangke in cui si sono annullati i concetti di amore e rispetto per gli altri e per se stessi, in cui non c’è più pietà nemmeno per gli elementi naturali,(esemplare in questo senso,la sequenza del maltrattamento gratuito a un cavallo).
Jia Zhangke mostra la violenza dei suoi personaggi non come la violenza dei killer o degli assassini, ma con la rabbia del colpo solo, deciso e tragico, quasi a cercare la poesia nell’orrore.
Il regista indugia nel sangue e nelle armi perché è l’unica cosa rimasta, senza maniera ma con una messa in scena formalmente eccelsa, compassato nell’avanzare narrativo ma senza diventar noioso e senza rinunciare al piacere della visione,anche se spietata, come la scena finale che concede pochissima via d’uscita allo spettatore da questa discesa agli inferi.

A proposito dell'autore

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20 anni, diplomato al liceo linguistico. La passione per il cinema lo ha travolto dopo la visione di Pulp Fiction. Ha frequentato un workshop di critica cinematografica allo IULM. I sui registi di riferimento sono Tarantino, Fincher, Anderson, Herzog e Malick. Ama anche anche il cinema indie di Alexander Payne e Harmony Korine. Oltre che su CineRunner, scrive anche su I-FilmsOnline.