C'era una volta a New York

Una giovane donna polacca, Ewa, arriva nella New York degli anni '20 in cerca di una sistemazione e di un lavoro. Incontra Bruno Weiss, un opportunista che la introduce prima in piccoli spettacoli e, in seguito, nei bordelli.
    Diretto da: James Gray
    Genere: drammatico
    Durata: 120'
    Con: Joaquin Phoenix, Marion Cotillard
    Paese: USA
    Anno: 2013
5.9

Lasciando da parte ogni tipo di polemica per la scelta dell’ignobile titolo italiano, C’era una volta a New York, The Immigrant quinto film del sempre più autore James Gray, presentato in concorso al 66° Festival di Cannes, si presenta come un film fuori dal tempo, classico nel senso più nobile del termine, sorprendentemente anacronistico nello stile e nei contenuti.

Sembra davvero di assistere a un’opera della memoria, a una storia antica ma incredibilmente affascinante. Dalla cromatura dell’immagine che sceglie il color seppia, alla fotografia di grana grossa che riporta alla mente la trilogia di Coppola su Il Padrino.
Ogni immagine in The Immigrant ha lo stesso sapore di una cartolina, tramandata da quegli stessi antenati vissuti negli anni ’20, decennio che fu pieno di speranza. E dè la stessa speranza che portano con se Ewa e sua sorella Magda, partite dall’Europa ancora scossa dalla Grande Guerra a cercare la fortuna negli Stati Uniti d’America, precisamente a New York, città piena di opportunità da cogliere.
James Gray dopo i sobborghi visti in Little Odessa e la metropoli moderna di Two Lovers (2008) torna a mostrarci una New York inedita e poetica, sospesa ma totalmente attaccata al suo periodo (non solo visivamente), specchio di un’America che faceva i conti col proibizionismo e il teatro doveva farne col nascente cinematografo.
Intorno alla geografia della Grande Mela, James Gray realizza un intenso melodramma intimista dove l’epica fa spazio al privato.
Ewa, interpretata da Marion Cotilliard deve salvare la sorella, malata in ospedale e trova in aiuto in Bruno (l’ormai attore feticcio di Gray, Joaquin Phoenix) che si propone d’aiutarla prima inserendola nel suo spettacolo di varietà poi iniziando un giro di prostituzione. Tra di loro e il loro ambiguo rapporto, lui ama lei non corrisposto, si inserisce Emil (Jeremy Renner) prestigiatore dal cuore d’oro che verrà anche lui colpito dalla bellezza di Ewa.
Ancora un triangolo amoroso (dopo il capolavoro Two Lovers) e ancora tutti i temi cari al cinema di Gray: la fragilità dei rapporti umani, eventi ed esistenze sempre in bilico tra la felicità più desiderata e la tragedia più insostenibile, personaggi complessi e tremendamente umani che scelgono di agire per amore puro o per odio ceco.
Gray è certamente consapevole del suo talento, e usa la macchina da presa in maniera ipnotica, sfruttando il fascino, come già detto forse sorpassato ma magico, del suo film scegliendo invisibili carrellate, regalando primi piani ai suoi attori (uno più bravo dell’altro) necessari ma non ricattatori, dettagli sui volti che tornano a raccontare un mondo.
The Immigrant non ha l’immediatezza del cinema contemporaneo e post moderno, si avvicina a un neoclassicismo narrativo senza epoca perché già appartenuto al ricordo, sbiadito ma mai stantio.
Si tratta di un cinema che fa amare, odiare, uccidere, riunire e sceglie anche di dividere con un’inquadratura finale che immagina due mondi, due vite che si separano in una sola immagine. Quella sì da stampare nella memoria.

A proposito dell'autore

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20 anni, diplomato al liceo linguistico. La passione per il cinema lo ha travolto dopo la visione di Pulp Fiction. Ha frequentato un workshop di critica cinematografica allo IULM. I sui registi di riferimento sono Tarantino, Fincher, Anderson, Herzog e Malick. Ama anche anche il cinema indie di Alexander Payne e Harmony Korine. Oltre che su CineRunner, scrive anche su I-FilmsOnline.