The Fog of War

Errol Morris intervista Robert McNamara, ex segretario della Difesa nel periodo 1961-1968,, sotto le amministrazioni Kennedy e Johnson. Il documentario alterna filmati d'archivio e materiale di repertorio.
    Diretto da: Errol Morris
    Genere: documentario
    Durata: 95'
    Con: Robert McNamara, John F. Kennedy
    Paese: USA
    Anno: 2003
8.8

Errol Morris, in questi giorni in concorso alla settantesima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia col film documentario The Unknown Known (2013) su Donald Rumsfeld, prosegue il suo discorso sulle personalità di spicco della politica americana più o meno recente, confermando la sua attrazione, il suo particolare interesse, verso i piani alti del potere negli Stati Uniti.

Oramai dieci anni fa, invece, il suo sguardo si era focalizzato su Robert McNamara, figura controversa della politica a stelle e strisce: ex segretario alla difesa, che ricoprì la carica durante le presidenze Kennedy e Johnson; protagonista, nel senso più ampio del termine, di The Fog of War, col quale nel 2003 Morris vinse tra l’altro anche l’Oscar.
Il documentario che gli fece ottenere l’ambita statuetta è interamente incentrato sull’ex segretario, il quale ci impartisce vere e proprie lezioni di realpolitik (con tanto di cartelli d’introduzione ad ogni inizio di “capitolo”) e il tutto assume un tono quasi “didattico”.
McNamara, anche alla veneranda età di ottantacinque anni, si dimostra abile nel raccontare e nel raccontarsi, ripercorrendo di fatto la sua intera carriera: una finestra di osservazione privilegiata su momenti delicati e infuocati della storia americana (la crisi missilistica di Cuba, la morte di Kennedy, il Vietnam…) e internazionale.
Morris, pur avendo a disposizione del bel materiale visivo e sonoro inedito come le conversazioni tra Kennedy e il segretario, pare mettere troppo il tutto nelle mani di quest’ultimo, il quale ci offre ovviamente la sua versione, il suo pensiero, e da parte del documentarista non c’è (quasi) alcuna rielaborazione o intervento sulla materia trattata; la video intervista, che è la colonna portante dell’intero lavoro alla quale si alternano filmati d’epoca, sembra quasi un monologo di McNamara che parla a ruota libera di ciò che è accaduto in quei momenti così caldi, e di ciò che sarebbe potuto accadere, in alcuni casi, senza il suo intervento.
Il regista, l’autore del film che lo mette a tutti gli effetti in scena, lo si percepisce come un mero esecutore, quasi un operatore il cui compito pare sia quello di registrare una sorta di video testamento su commissione dello stesso protagonista della pellicola.
Non vogliamo certo dire che Morris difetti in mestiere, ma come autore del lavoro appare davvero troppo blando, addirittura servile: l’intervista non è da lui diretta con mano solida, tanto da lasciare spesso le redini al suo interlocutore che, nonostante l’età, possiede un’astuzia tale da vampirizzare l’intero lavoro.

A proposito dell'autore

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Ha fatto e fa cose che con il cinema non c’entrano nulla, pur avendo conosciuto, toccato con mano, quel mondo, e forse potrebbe incontrarlo di nuovo, chi lo sa. Potrebbe dirvi alcuni dei suoi autori preferiti, ma non lo fa, perché non saprebbe quali scegliere, e se lo facesse, cambierebbe idea il giorno dopo. Insomma, non sa che dire se non che il cinema è la sua malattia, la sua ossessione, e in fondo la sua cura. Tanto basta.