Intervento divino

Palestina, tempo presente. Un ragazzo che accudisce il padre malato è innamorato di una ragazza di Ramallah. A causa dei posti di blocco israeliani, i due si possono vedere solo clandestinamente. Il giovane dovrà inventarsi uno stratagemma per risolvere la situazione.
    Diretto da: Elia Suleiman
    Genere: grottesco
    Durata: 92'
    Con: Elia Suleiman, Manal Khader
    Paese: FRA, MAR
    Anno: 2002
7.3

Ci si abitua da subito allo stile keatoniano di Elia Suleiman, nella leggerezza rivoluzionaria del suo Intervento divino (2002), che vinse il Premio della Giuria a Cannes nel 2002.
Nel cinema comico gli spazi e le ellissi della visione sono frammenti nudi, all’interno dei quali si può instaurare un rapporto biunivoco tra suono e immagine, là dove il solco dello stile riesce ad imporsi come il marchio di un’autorialità espressa in maniera diretta.

Senza alcun sotterfugio Suleiman lascia implodere il suo stile secco. La comicità ricorda a tratti il dimenticato Pierre Etaix oltre che Buster Keaton. La trasformazione degli spazi d’azione è sempre mutata nel tempo, i piani fissi servono da controcampo all’impostazione di un cinema prima di tutti politico, che sappia addentrarsi all’interno di una società in perenne bilico tra modernità e tradizione.
Intervento divino è la necessaria nemesi, scandalosa e purista, del potere vigente, per capire il conflitto arabo-israeliano, per ricondurre la tragedia al suo livello iniziale, quello dell’assurdità.
Il grottesco per Suleiman è finitezza eterna di uno stile mai dopato, sempre impassibile anche davanti alla violenza e allo sterminio della morale.
Intervento divino conduce su un altro livello visivo la nomenclatura del trapasso, tra vecchio e nuovo, tra miseria e ricchezza, attraverso uno stile che accumula ripetizioni di gesti in transito, filmando il senso di una protesta non capita e in atto.
E’ questo il senso del fare politica attraverso il cinema (la scena straordinaria dell’ospedale dove ad un certo punto tutti iniziano a fumare, è l’essenza dello stile di Suleiman), cambiando i connotati alla struttura della commedia, filmando il non-sense, l’impossibilità di un senso unico da dare alle cose, all’attimo della consapevolezza di una rivolta sotterranea (gli sguardi dei due protagonisti in macchina, come a voler dire “ti amo”, rimanendo sempre all’interno di una dialettica keatoniana da cinema muto).
Infine, l’effetto speciale della contesa tra i soldati armati e “l’intervento divino” della ragazza-soldato: per Suleiman il grottesco è un postulato di frammenti diacronici, dove la guerra è un cartoon senza più alcun valore. Le pallottole formano una danza nell’aria che arriva a giocare con il cinema stesso, pronunciando in continuazione un eterno discorso intorno all’insensatezza della guerra.
Se i soldati vengono eliminati uno ad uno è perché la speranza della fine del conflitto generi il senso della perdita, dopo che tutto è stato ridotto in macerie.
Suleiman filma l’illuminazione catartica del vuoto nato da un conflitto insensato. Il suo sguardo e quello della ragazza sono l’emblema di una riappacificazione densa di interrogativi.

A proposito dell'autore

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Classe 1981, co-fondatore di CineRunner, ha iniziato come blogger nel 2009, ha collaborato con Sentieri Selvaggi. I suoi autori feticcio sono Roman Polanski e Aleksandr Sokurov. Due cult: Moulin Rouge (2001) e Scarpette Rosse (1948).