The Wolf of Wall Street

La storia vera di Jordan Belfort che, dal 19 ottobre 1987, giorno del grande crac di Wall Street, da inizio alla sua esaltante, vulcanica, folle, spregiudicata corsa verso il successo, l'individualismo sfrenato, la corruzione spinta oltre l'inverosimile. Fino a che uno zelante agente federale non mette gli occhi sul suo operato.
    Diretto da: Martin Scorsese
    Genere: drammatico
    Durata: 180'
    Con: Leonardo DiCaprio, Jonah Hill
    Paese: USA
    Anno: 2013
7.4

Si rischia di entrare fortemente in empatia con Jordan Belfort, con la sua morale cinica e senza scrupoli. The Wolf of Wall Street, a mio avviso tra i migliori film del 2014, è il caleidoscopio narrativo-estetico per eccellenza che Martin Scorsese ha dedicato a Wall Street e alle sue spregiudicate regole.
A differenza di altre volte (si pensi a The Depaeted Il bene e il male o a The Aviator)  l’autore di Goodfellas e Casinò è tornato alla mano pesante delle sue opere più ispirate, e questo ultimo uragano visivo segna un ritorno ad una libertà creativa che non ci si aspettava più, per un filmmaker da sempre ossessionato dagli eccessivi visivi, dalle maratone narrative sulle dicotomie tra bene/male e peccato/redenzione.

Dopo aver sentito dire che molte scene spinte erano state tolte dal già cospicuo cut finale, dopo aver visto le tre fluviali ore di The Wolf of Wall Street, non riesco ad immaginare di quali scene si tratti, perché anche così il materiale riversa sullo spettatore una tale mole di effetti visivi/estetici/narrativi, da costituire un’opera visivamente tellurica, quasi abbacinante.
Lo script di Terence Winter, basato sul romanzo omonimo dello stesso Belfort, deve essere stato approvato da Scorsese per la sua ruvidezza, per la sua mancanza di peli sulla lingua e per la capacità di guardare in faccia un mondo sommerso, che nessuno prima d’ora aveva avuto il coraggio di filmare con tanta grazia selvaggia, senza alcun timore reverenziale.
Si scopre innanzitutto, che Scorsese deve aver odiato a morte Jordan Belfort, talmente tanto da fargli fare dei lunghi monologhi iper adrenalinici sul senso dell’essere broker e venditori di “shit”.
Mai DiCaprio era stato tanto ordinato e mefitico nella sua performance, totalmente padrone della scena, quasi a volersi fondere con lo schermo: parlando sempre allo spettatore come l’Alex di Arancia Meccanica: in una delle tante scene straordinaria si rivolge direttamente alla mdp, a Scorsese, agli spettatori e anche a chi è stato truffato dalle sue operazioni, con una nonchalance che fa pensare ad un delirio formale genialmente orchestrato, tale da porre il suo punto di vista amichevole, in contrasto con una materia narrativa tanto surriscaldata e immorale.
La cosa più annichilente di Thw Wolf of Wall Street è che davvero non si ha mai un attimo di pausa, la mdp di Scorsese torna a volare come ai tempi di Casinò, si precipita dentro gli eventi con una furia neo classicista da far tremare i polsi, annientando la dimensione spazio/tempo, dando l’impressione che il mondo reale sia quello descritto dal broker Jordan Belfort, che la corruzione sia un’invenzione dei falliti, che il sesso sia solo un orpello ingannevole che cela una sotto struttura di ansietà e sconnessione dal mondo esterno.
Scorsese osa virare il proprio cinema nei pressi dell’avventura e del thriller, dove il punto scelto della mdp per fissare l’atto erotico sbalorditivo, non è altro che una congiuntura strutturale, interna allo spazio/tempo.
Il sesso diventa il grimaldello narrativo per aprirsi all’estetica selvaggia del raggiro, rovesciando la piramide dei valori e liberando il lupo famelico che attende l’ignara preda per il lauto banchetto.
Allora si può dire che The Wolf of Wall Street è il film di Martin Scorsese che si mangia lo spettatore, plasmando la sua ideologia sul rifiuto di ogni realtà. Il montaggio di Thelma Shoonmaker segna il contagiri della mente di Scorsese, dettandone il ritmo, incantando e incalzando sempre la scena.
Sembra che Scorsese si sia molto divertito con questo lupo di Wall Street, affermando un’ironia che taglia come burro la società americana, ritagliando per ogni personaggio una tipologia diversa di truffatore. Jonah Hill in questo senso senso sta dimostrando di essere una giovane promessa, offrendo una performance laida, al limite del vernacolare, quasi fosse una versione deluxe del suo personaggio più famoso, l’adolescente squinternato di Suxbad (2007) di Greg Mottola.
E’ anche per questo motivo che il film ha provocato critiche feroci dopo le prime proiezioni. Il motivo è: l’eccessivo uso del sesso e di una forte misoginia, o l’aver scoperchiato il calderone del fascino compulsivo, avvolgente, mefitico, oltre le regole e del tutto fuorilegge di Wall Street?
Il messaggio di Scorsese è forte e chiaro, e l’Academy lo ha premiato con 5 nomination all’Oscar: adesso tutti sanno che i broker sono degli psicopatici (la scena dell’incidente di Belfort con la figlia rende bene l’idea del livello raggiunto), hanno ridotto l’economia americana e mondiale in cenere e stanno continuando a farlo.
Questo film intende aprire gli occhi, non per denunciare, che sarebbe il minimo, ma per essere partecipi di una deriva in atto. Per farci sentire tutti come il lupo. Forse non è una bella sensazione. Scorsese lo sa e vola alto fin dove neanche i broker possono più prenderlo.

A proposito dell'autore

Avatar photo

Classe 1981, co-fondatore di CineRunner, ha iniziato come blogger nel 2009, ha collaborato con Sentieri Selvaggi. I suoi autori feticcio sono Roman Polanski e Aleksandr Sokurov. Due cult: Moulin Rouge (2001) e Scarpette Rosse (1948).