Vita privata di Sherlock Holmes

In una piovosa sera londinese si presenta alla casa di Sherlock Holmes una donna che racconta all'investigatore della scomparsa di suo marito. Holmes insieme al suo aiutante Watson e alla donna parte per la Scozia. E' l'inizio di una strana avventura.
    Diretto da: Billy Wilder
    Genere: avventura
    Durata: 125'
    Con: Robert Stephens, Geneviève Page
    Paese: USA
    Anno: 1970
7.7

Sul finire di una lunghissima e prestigiosa carriera, Billy Wilder si trova tra le mani un progetto per lui inconsueto, ricco di insidie e nel quale può essere facile cadere vittima di equivoci autoriali. Un trattamento di un’icona famosa come Sherlock Holmes, soprattutto per un regista fermo da quattro anni per reciproche diffidenze con il mondo hollywoodiano, è una sfida insidiosa dove si rischia un artigianato calligrafico. Inoltre, alla fine degli anni 60, The private life of Sherlock Holmes non è il desiderio primario nelle intenzioni del regista. È un lavoro che nasce per vie traverse e prende il posto del più vagheggiato La strana coppia, con Jack Lemon e Walter Matthau (poi girato da Gene Saks), film con cui però divide il nucleo base del racconto: due uomini maturi e scapoli che convivono insieme. 
Eppure, a posteriori, rileggendo l’intera filmografia di Wilder, l’opera ha la capacità di sintetizzare molti temi e generi cari al regista.

La figura mitologica di Sherlock – e quella complementare di Watson – diventano un duttile prisma dove rappresentare i motivi dell’identità, della maschera, della fatica di adoperarsi secondo stilemi sociali. Il Wilder che si prodigava in una sontuosa gamma di sfumature tra drammatico (Giorni perduti, Viale del tramonto, L’asso nella manica) e commedia (Quando la moglie è in vacanza, A qualcuno piace caldo, Irma la dolce), quello che si muoveva nella combinazione tra Stroheim e Lubitsch, e riversava su pellicola gli umori e i ricordi di Vienna, Berlino e Hollywood, sempre conservando e usurando le convenzioni di genere, trova in The private life of Sherlock Holmes un’incantevole sintesi. Il drama e il comedy sono naturalmente trasfusi in una malinconia fisiologica, e in un’ironia talmente lieve che sembra riluttante, come una battuta pronunciata in contumacia.
Il linguaggio filmico di Wilder, generalmente sottostimato e considerato lineare, regala in questo film alcune tra le sue soluzioni più eleganti (si guardi la scena della gabbia dei canarini). Questo “stile medio” concorre a creare una perfetta armonia nella rincorsa incalzante tra il congegno positivista della trama e la deriva del protagonista, lo sbriciolamento delle sue sicurezze razionali.
 E se c’è il consueto svelamento delle apparenze, dei travestimenti, quello che chiameremo Wilder Touch, questo è continuamente compensato dallo strenuo tentativo del protagonista, Holmes, di fuorviare Watson, il medico, dai sintomi della sua malattia dell’anima.
 Come Joe e Jerry in A qualcuno piace caldo, come gli stessi Billy Wilder e il fido sceneggiatore I.A.L. Diamond, Robert Stephens (Sherlock Holmes) e Colin Blakely (Dr John Watson) patteggiano, con dialoghi irresistibili, attorno al paradigma dell’amicizia virile.
Si crea una forbice tra la magniloquenza dell’indagine principale (spie, mostri di Loch Ness, sottomarini, castelli, medium) e l’investigazione sottesa di un disagio esistenziale, la ricerca di un’identità che vada oltre i ferri e i gli indumenti del mestiere, quelli che ci vengono mostrati in rassegna all’inizio del film, come in una lezione di anatomia o nell’inventario di un prestigiatore, di un uomo doppio. 
 Infine, l’ultima delazione del piccolo grande austriaco, sembra essere la confessione di un piccolo segreto sulla realtà: cioè che non vi è un grande mistero. Che la realtà soggiaciuta di Holmes non è così scandalosa, che il suo essere drogato, forse omosessuale, sicuramente anaffettivo, rientra tutto in una sorta di fluttuazione della normalità; quantificabile in quella minima variazione di cocaina in soluzione: dal 5% al 7 %.

A proposito dell'autore

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Dopo una breve parentesi lombarda dedita al montaggio di film pubblicitari, torna nella sua terra, la Sardegna, per mixare questa volta dischi e suoni. Se potesse rinascere regista non sarebbe Pirlo, ma Billy Wilder o Joao ‘Vuvu’ Monteiro. La citazione che forse gli calza più a pellicola è: “Tu sei troppo serio, Orlando. E tuttavia non abbastanza”.