La differenza nel cinema americano degli anni ’00 tra lo Zodiac (2007) di David Fincher e I Padroni della notte (We Own The Night) (2007) di James Gray, è la differenza tra chi “bara” e chi no, tra chi ruba consapevolmente ma riesce a dissimulare bene il furto, e chi invece ruba avendo appreso la lezione, ma non riesce a dissimulare altrettanto bene il proprio debito nei confronti  del passato.
Dando per scontato che entrambi rubano (la tendenza nel cinema contemporaneo a “rifare” un certo tipo di cinema che si faceva negli anni ’70 è sempre preminente, per dare al cinema una caratura “autoriale”), forse si può dire che Fincher lo faccia in maniera meno evidente, avendo tra l’altro una caratura autoriale estremamente più solida di quella del ben più modesto “riciclatore” James Gray.

In entrambi i casi si tratta di due thriller che raccontano gli anni ’70, attraverso un cinema del reale, una struttura classica che si dipana nel modo più canonico nel film di Gray (racconto che si spezza nella prima parte dando inizio alla narrazione, relativa suspence, ripiegamento catartico finale); un vero e proprio viaggio nel passato, invece, il film “in costume” di Fincher, ispirato ad un fatto di cronaca nera mai risolto, in cui si ripercorrono tutte le fasi dell’investigazione e della ricerca del colpevole andando a costruire una magnifica rete di sospetti e inganni dove la verità non viene mai a galla.
Dal punto di vista del cinema il noir urbano di Gray è un action, con grandi interpretazioni, una morale che fece imbestialire la platea cannense, con accuse di fascismo, in quanto la storia riguarda una famiglia in cui il padre e uno dei due figli sono poliziotti, quando il fratello viene mandato in ospedale a seguito di una ritorsione per aver arrestato alcuni boss del traffico di stupefacenti, effettuati nel locale gestito dal fratello, di conseguenza, quest’ultimo si ravvede e decide di collaborare con la polizia, in seguito anche il padre muore per mano dei criminali e i due fratelli finiscono entrambi per vestire l’uniforme della polizia. Di materiale per una critica da questo punto di vista ce ne sarebbe eccome.
Ma il cinema di Gray è troppo lapilassiano, ricopiatore di stili altrui, in primis il Friedkin de Il braccio violento della legge (accostamento di superficie, in quanto a Gray manca il nervosismo e il piglio polemico di Friedkin) per riuscire ad inventarsi una drammaturgia nuova su materiali così abusati.
Ci voleva un Michael Mann o un Eastwood per far volare una macchina narrativa del genere.

Il discorso cambia per l’operazione di “occultamento” diretta da Fincher. Zodiac è un noir che riflette sulla Storia, innestando un infinito gioco sulla profondità della luce, mostrando il lato ambiguo del divenire ombra, nel mentre la dialettica del disvelamento dell’identità del serial killer accumula sempre più piste, portando ad una disconnessione dell’indagine dalla verità.
Zodiac ha un corpo filmico che muta di continuo, occultando il visibile, intorbidando le acque di una visione che non si dimentica perché impone il dubbio come cartina di tornasole sul disfacimento del genere, in questo caso il “serial killer movie”. Fincher ha dimostrato di saper capovolgere lo stesso genere da lui creato, con una disinvoltura quasi commovente. Per fare questo occorreva avere tra le mani un grande script, e James Vanderbilt ha fornito su un piatto d’argento la grande occasione.
I film sul tempo non devono tradire nostalgia, devono tentare di intercettare il motivo, il sentore di una rivalsa storica dei fatti avvenuti, per attuare una catarsi che si basi su elementi di morale cristallina.
Zodiac opera una distanza dal tempo documentato che smuove i fatti dalle paludi temporali.
I Padroni della notte si adagia verso la via di un action poderoso dal punto di vista estetico, ma che non sembra avere l’adeguata profondità semantica, (leggi necessità intrinseca), verso la risoluzione di un’enigma mai sopito: il perché di un cinema che affronti il noir con un’estetica barocca senza avere il grado di giudizio latente della modernità. Cosa che invece a Fincher riesce alla grande.

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Classe 1981, co-fondatore di CineRunner, ha iniziato come blogger nel 2009, ha collaborato con Sentieri Selvaggi. I suoi autori feticcio sono Roman Polanski e Aleksandr Sokurov. Due cult: Moulin Rouge (2001) e Scarpette Rosse (1948).