Christopher Nolan, con il suo Interstellar, ribadisce la centralità del cinema americano contemporaneo, la sua assoluta superiorità rispetto a qualsiasi altra cinematografia mondiale. Interstellar è costato 165 milioni di dollari, 5 in più di Inception. Al box office USA se l’è cavata raccogliendo 188 milioni, raggiungendo, con l’incasso del resto del mondo, alla cifra spropositata di oltre 672 milioni di dollari. Per un film così complesso è quasi un miracolo. Interstellar infatti è, se possibile, persino più articolato e denso di Inception. Interstellar ad una prima, disattenta, visione, non emerge. La struttura del film necessità di una seconda visione, in lingua originale e con i sottotitoli in italiano. Ecco allora che la nuova perla di Nolan emerge in tutta la sua deflagrante potenza, in tutta la sua inventiva e anche quelli che, a prima vista, sembravano segmenti di film fuori luogo (come la lunga parte con Matt Damon), assumono tutta la loro pregnanza narrativa e estetica.

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Vedere Interstellar è come scalare una montagna ripida, alla cima della quale si trova il buco nero che rivela la non finitezza della visione stessa. Le numerose scene di raccordo tra la missione spaziale del pilota Cooper/ McConaughey e l’inesausta ricerca sulla Terra della dottoressa Murph/ Chastain, lascia lo spettatore continuamente in balia di due mondi alieni, dove la lotta per la sopravvivenza si gioca tra i secondi che nel film sono contati come anni. Lo spettatore arranca, sente fisicamente il dolore, la fatica di un viaggio che sembra non finire mai, quasi fosse un’astrazione illusoria, come se Interstellar fosse il campo magnetico, che genera la forza attrattiva da cui dipende il mistero di una visione che raggiunge il culmine del suo significato primordiale tra le spire di una dolce morte cosmica.

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Interstellar è insieme, una nuova cosmogonia dell’anima e un trattato di scienza aerospaziale. Questo pone il film in una condizione di dialogo permanente tra tradizione e modernità, tra passo in avanti futurista e ritorno ad un immaginario tradizionale. Là dove Inception metteva i puntini sulle “i” e generava l’impossibilità da parte dello spettatore di integrare il proprio punto di vista, con la struttura narrativa granitica del film, Interstellar lascia allo spettatore la libertà di scegliere con quale personaggio compiere il viaggio. Quindi non vi è alcun timore sul fatto che Nolan debba rendere più “povero” e “asciutto” il suo cinema. La sua visione va bene così com’è, essendo del tutto coerente ad un disegno estetico iniziato ai tempi di The Prestige.

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Inoltre Interstellar presenta questioni che vanno al di là della normale fruizione di un blockbuster. Oltre al Budget più ampio, alla colonna sonora persistente (anche se i tempi morti esistono eccome in un’opera trascendentale come Interstellar), alla narrazione dilatata fino a 169 lunghissimi minuti, c’è una sceneggiatura che non ha nulla a che vedere con le regole della serializzazione hollywoodiana. Come dimostrano le scene in cui vengono spiegati il concetto di wormhole e della singolarità nuda, il lavoro di ricerca compiuto da Nolan registra l’ennesimo passo in avanti del regista nel solco della sci-fi.

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Dunque le caratteristiche produttive che dopo la prima visione erano sembrate indigeste, adesso assumono una caratura completamente differente. Come se il cinema di Nolan fosse una gemma nel buio pronta ad esplodere, se caricata con la giusta energia psico-emotiva. Il cinema del regista inglese continua a guardare oltre. Nolan, che firma i suoi film in collaborazione con il fratello, ha così la fortuna sfacciata di progettare film difficilissimi con l’appoggio incondizionato di una major ingessata come la Warner Bros. riuscendo a riempire i cinema. Non capita a tutti. Soprattutto di un genere sempre più saturo come la fantascienza.

A proposito dell'autore

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Classe 1981, co-fondatore di CineRunner, ha iniziato come blogger nel 2009, ha collaborato con Sentieri Selvaggi. I suoi autori feticcio sono Roman Polanski e Aleksandr Sokurov. Due cult: Moulin Rouge (2001) e Scarpette Rosse (1948).