Tre film nell’arco di 11 anni hanno messo in scena la Rivoluzione Francese, dal punto di vista di chi il potere e i privilegi li aveva sempre difesi come un diritto inalienabile dell’uomo.
Rispetto al passato, la fase iniziale, di uno dei processi di modernizzazione più importanti della Storia, è stato rovesciato da una concezione pesantemente rivolta verso la parte forse storicamente più vilipesa dai libri di Storia. Un revisionismo storico? Una provocazione? Un tentativo di riabilitare figure storiche vergognose e, senza ombra di dubbio, in torto?

Secondo Eric Rohmer, Sofia Coppola e Benoit Jacquot si tratta di un rimodellamento dei punti di vista, che non nasconde un’arroganza di fondo a dir poco micidiale.

Guardando i rispettivi tre film, La Nobildonna e il Duca (2001), Maria Antonietta (2006), Les Adieux à la Reine (Gli adii della Regina, 2012, l’unico a non essere uscito in Italia), si nota una particolare predisposizione a concedere attenuanti ai nobili, rivoltando completamente il discorso sulla Rivoluzione: i contesto di riferimento mette esplicitamente in scena un mondo che crolla sotto i colpi della modernità, dell’invenzione della sovranità popolare, del popolo ridotto alla fame, che piano piano assume il potere e dei nobili che se lo vedono togliere dalle mani.

Ma l’elemento che rimane, nei tre film, è uno sfarzo enorme su cui incombe la mannaia del Tempo e della Storia: nulla sarà più come prima, e sia Rohmer, sia la Coppola, sia Jacquot insistono a sottolineare il dolore dei nobili che perderanno una vita di sfarzo senza limite, di cui mai avrebbero previsto al fine.
Il film più esplicito in questo senso è quello di Jacquot, dove viene ripresa, con didascalismo televisivo, la paura dei sovrani di Francia alla lista dei 280 che sarebbero stati ghigliottinati: in una scena che dovrebbe far parteggiare il pubblico per il Terzo Stato, che arrancava nella più assoluta miseria, l’unica emozione che resta è la compassione per chi è stato appena condannato a morte.

E’ così che si viene a creare un circolo vizioso, dove a vincere è un argomentazione storica assolutamente fuorviante e discutibile, resa ancora più evidente dall’uso spregiudicato di un cast di altissimo livello, tra cui spiccano Diane Kruger, Lea Seydoux e Virgine Ledoyen.
Il punto di vista dei rivoluzionati non viene mai toccato. Si può solo immaginare un’orda di selvaggi col coltello tra i denti pronti a crocifiggere delle giovani e belle signore. Questa forte dicotomia estetica porta, di conseguenza, a far intenerire il pubblico per la parte “sbagliata”, andando a rovesciare il senso della Rivoluzione, marcando un solco dove la Destra monarchica si riprende lo scettro che gli era stato tolto.

Il film di Sofia Coppola non prende di petto la questione della rivoluzione, la Presa della Bastiglia è un evento fuori campo di cui si viene a sapere solo nella parte finale del film. La Coppola concede al popolo inferocito solo l’inchino da parte della Regina di Francia, presentatasi davanti alla folla dal suo balcone, con l’irriverenza reazionaria di chi è fiera del crimine perpetrato nel tempo.
La Coppola in Maria Antonietta tende ad amministrare una serie di quadri in movimento, che lasciano abituare lo spettatore allo sfarzo, portando ad una totale identificazione con la Regina.
Anche l’autrice di Lost In Translation L’amore tradotto (2003) ha quindi i suoi debiti da pagare nei confronti della Storia, lasciano che lo spettatore fraternizzi con un personaggio, forse del tutto frivolo ed inconsapevole del suo stesso potere, ma del tutto determinato a portare avanti quella vita agiata, in una dimora dallo sfarzo infinito, quasi immutabile nel tempo.

Il film di Rohmer, La Nobildonna e il Duca forse è il meno criticabile dal punto di vista politico, il più umano e il meno reazionario. Rohmer racconta di una Nobildonna che si deve salvare dal terrore termidoro, tentando una fugata disperata e travestendosi da povera.
Il film di Rohmer ha comunque un’altro elemento molto più rilevante dal punto di vista estetico, e che forse lo salva da accuse di  revisionismo: l’utilizzo rivoluzionario per l’epoca (2001) del digitale.
Gli sfondi si muovono come dei dipinti raggelati, dove la prospettica storica viene assunta in tutta la sua precisione chirurgica. Rohmer è un mago della cinepresa ed intraprende un viaggio a ritroso nella Storia, costruendo una macchina emotiva immobile ed impalpabile, ma rendendo giustizia al sentimento del tempo, riconoscendo al popolo la sua dignità di martire di una ingiustizia perpetrata per troppo tempo.

La Rivoluzione Francese fu un evento importante perché sancì la nascita della sovranità popolare e iniziò ad incrinare l’idea che dovessero essere i sovrani ad avere il potere di governare. Sarebbe stato l’inizio che avrebbe portato alla nascita della futura rappresentazione parlamentare.
Ma nei tre film suddetti questa consapevolezza non emerge mai. Perché? Si tratta di un discorso antiquato? E’ la definitiva vittoria della Destra al potere? Si è stati incapaci di una riflessione organica su quei fatti così concitati?
Dagli elementi in mano si può solo registrare un’appiattimento politico, una conservazione di fatto di una condizione sociale invisibile, con la perpetuazione di uno stato delle cose assolutamente antidemocratico e avvolto da una patina di finzione, che rendono tanto Rohmer, quanto la Coppola e Jacquot, gli inconsapevoli sostenitori di un Ancien Régime condannato da tutti i libri di Storia. Il cinema dovrebbe servire soprattutto per fare politica, come la si vuole e a qualsiasi costo. Chi si farà sedurre da questo cinema meraviglioso e senza vergogna, lo farà per motivi avulsi dal contesto storico, partecipando ad un banchetto al quale non è stato invitato, ma dove saprà sicuramente trovare un suo posto. Anche a costo di negare l’evidenza dei fatti.

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Classe 1981, co-fondatore di CineRunner, ha iniziato come blogger nel 2009, ha collaborato con Sentieri Selvaggi. I suoi autori feticcio sono Roman Polanski e Aleksandr Sokurov. Due cult: Moulin Rouge (2001) e Scarpette Rosse (1948).