In sordina e senza fanfare, anche in Italia escono (ma che non lo sappia nessuno, eh? ovviamente in un pugno di sale e per pochissimi giorni) film d’intrattenimento puro come Non-Stop di Jaume Collet-Serra con protagonista il (ri)lanciatissimo Liam Neeson, il quale da Io vi troverò in avanti (con Taken, The Grey, Unknown) sembra avere dismesso tutta una parte della sua carriera per calarsi nei panni dell’eroe d’azione (più o meno) tutto d’un pezzo.
Lo spunto per una riflessione sul tema degli attori che si riciclano in parti d’azione origina dalla constatazione che in questo stesso periodo anche Kevin Costner, ormai lontano dai fasti di Balla coi Lupi e Gli Intoccabili, si propone in un ruolo action con 3 Days to Kill, sotto l’egida dello sciagurato Luc Besson.
Entrambi intorno alla sessantina (Neeson è nato nel 1952, Costner nel 1955), non sono in realtà volti nuovi per il cinema di robusto intrattenimento popolare: basti pensare alla partecipazione dell’attore irlandese a Scommessa con la Morte (Dead Pool, 1988), ultimo episodio della serie dell’ispettore Callaghan, oppure a Revenge (1990) di Tony Scott per quanto concerne Costner. Ma è indubbio che, nella considerazione del grande pubblico, le loro figure sono associate a quelle di Oskar Schindler (e di Michael Collins) e ai protagonisti di opere di un certo impegno come Un Mondo Perfetto (1993).

Pare di conseguenza curioso trovarli a ricoprire ruoli tanto lontani da quelli che hanno dato loro la fama, soprattutto in considerazione del conservatorismo imperante nel cinema americano, per cui se un attore riscuote successo in un determinato ruolo, è pressoché scontato che lo replichi più o meno all’infinito (per quanto il caso recente di Matthew McConaughey, passato dai personaggi anodini delle commedie leggere a caratterizzazioni agghiaccianti come quelle dello sbirro corrotto e psicopatico di Killer Joe di William Friedkin e del lugubre poliziotto filosofo di True Detective, sia una notevole eccezione e dia parecchio da pensare).
Ci sono due chiavi di lettura a nostro avviso che spiegano la deriva di questi attori assai meglio della mera considerazione legata all’età, che tra l’altro è in genere penalizzante nel genere action: e che la questione anagrafica lo sia è fuori di dubbio se i vari Sylvester Stallone, Arnold Schwarzenegger, Bruce Willis, Steven Seagal, Jean-Claude Van Damme (ossia coloro che hanno fatto la fortuna del cinema muscolare negli anni Ottanta e Novanta, ricevendo il testimone da “tipacci” come il Charles Bronson dei film di Michael Winner e il Clint Eastwood di Dirty Harry) sono ormai ai margini, tutt’al più impegnati in reiterate operazioni nostalgiche e citazionistiche quali I Mercenari o The Last Stand. La prima è che si tratti di un modo per rimpolpare il novero dei volti di successo associati al genere. Chi è rimasto infatti a presidiare l’action come un marchio di sicura riconoscibilità? Soltanto Jason Statham in pratica, che non a caso è impegnato in più pellicole all’anno.
Si potrebbero citare anche Vin Diesel e Nicolas Cage, ma il loro pedigree non sembra del medesimo livello. Diesel ha ultimamente un po’ diradato le sue interpretazioni e Cage è un nobile decaduto, finito per ragioni economiche a girare divertissement tamarri come Drive Angry e i due Ghost Rider. Mentre un altro habitué di questi film come Wesley Snipes è fuori gioco per spiacevoli vicende giudiziarie.
Ecco dunque che una nicchia, ancora apprezzata da un certo tipo di pubblico, ha subìto una carenza di protagonisti che è stata riempita da un insospettabile come Neeson (che per inciso appare molto più convinto della sua scelta rispetto a Costner: pur nella sua meccanicità Non-Stop è secco e godibile e funziona assai meglio di 3 Days to Kill, che patisce le derive sentimentali e buoniste, rivelandosi un prodotto a dir poco mediocre).
La seconda chiave per comprendere il fenomeno è che questi attori, passato il loro picco di massimo splendore mediatico, rappresentino una scelta a buon mercato. In assenza di star popolari e di sicuro rendimento al box office, interpreti come Neeson e Costner (ma ne potremmo aggiungerne altri che hanno seguito la stessa sorte, come Harrison Ford e Mel Gibson; mentre il discorso è parzialmente diverso per Tom Cruise, che gode ancora di credito maggiore presso le grandi produzioni, nonostante la parabola declinante in termini di successo complessivo) sono un ripiego più che dignitoso: non sono superuomini forniti di muscoli d’acciaio e non sciorinano corpi da body builders, ma garantiscono quel po’ di richiamo cercato sempre più affannosamente da un genere in chiara crisi.
Il cinema d’azione americano tradizionale ha infatti perduto buona parte della sua centralità negli ultimi lustri: superato dal cinema dei comics, da Batman a Iron Man a Captain America (che infatti hanno tutt’altri protagonisti), e incapace di rivaleggiare con le saghe fantasy e con un franchise come quello di James Bond, non ha altro appiglio che quello di riciclare come eroi i corpi ormai imbolsiti di attori che hanno visto giorni migliori.
A ben vedere la seconda ipotesi è complementare alla prima. La macchina dello spettacolo è certo cinica, ma forse è l’immaginario americano dopo le Twin Towers che è drasticamente mutato. Mentre impazzano i supereroi, gli uomini “normali” qualche piccola chance di uscire vincitori da un corpo a corpo, mai così impari, ce l’hanno ancora.

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Ha una foto di famiglia: Lang è suo padre e Fassbinder sua madre. John Woo suo fratello maggiore. E poi c'è lo zio Billy Wilder. E Michael Mann che sovrintende, come divinità del focolare. E gli horror al posto dei giocattoli. Come sarebbe bello avere una famiglia così...