Blade Runner di Ridley Scott e Moulin Rouge! di Baz Luhrmann si interrogano sull’essenza del cinema, nei pressi della (forse) imminente o prematura morte della settima arte di fronte all’avvento della nuova forma digitale, vera e propria tendenza alla plastificazione. Scott e Luhrmann penetrano il frame incidendo nell’immaginario meglio di tanti emuli, riescono laddove molti hanno fallito.

Il loro cinema sperimenta la focalizzazione del punto in cui l’arte nasce e si reinventa dalle ceneri del passato. Blade Runner e Moulin Rouge! rappresentano l’istanza definitiva del fare cinema e del disfare il ricordo e la chiaroveggenza.

Lo stile figurativo viene così imprigionato in un attimo di ricordo istantaneo e infinito. E’ questo il motivo della lunga “durata” del frame nel tempo. Il cinema muore nell’atto stesso in cui viene registrato, fotografato, animato. L’intento di Scott e Luhrmann sembra opposto: far rivivere eternamente l’atto del vedere come atto di cinema per il cinema stesso. Non che ci siano intenti di metacinema (solo Carpenter e Cronenberg se lo sono potuti permettere in film come The Fog, In the mouth of madness, Videodrome, eXistenZ, oppure il Cameron del monumentale capolavoro Titanic, testi filmici fondamentali che meriterebbero trattazioni approfondite), Scott e Luhrmann si tengono alla larga da teorie e dispute metacinematografiche puntando sulla forza dell’iconografia che tutti i significati comprende, senza il bisogno di dichiarazioni esplicite. Il cinema di Harrison Ford/Rick Deckard e di Nicole Kidman/Satine rivive ben oltre la patina digitale e non tiene conto del tempo che passa. Questo perché il tempo viene annullato da un profilmico di devastante perfezione.

La chiave per comprendere due fenomeni estetici di così radicale estetica e importanza è forse molto semplice: l’introduzione di variazioni indispensabili nella struttura di un genere classico molto ben delineato e conosciuto e ormai radicato nell’immaginario. Quelle precise modifiche stilistiche o narrative rappresentano l’inizio di un nuovo paradigma: il genere cambia, muta in una forma che appare classica (anche se classica non è), attraverso la contaminazione degli stili e il revival musicale in Moulin Rouge!, sfolgorante (tanto sfolgorante da risultare quasi magnificamente stucchevole) melò-musical in cui forse la componente più importante non è il musical piuttosto il melò, con un uso del montaggio da far impallidire qualunque Rob Marshall (Chicago) o Julie Taymor (Across the Universe). Mentre in Blade Runner abbiamo un’inedito (per il 1981) mix di fantascienza e di noir, con atmosfere, ambientazioni, scenografie veramente rivoluzionarie per l’epoca. Da questo nasce un cinema che si annuncia ogni volta che lo si rivede o lo si ripensa come qualcosa di mai visto. Lo stesso è successo con Quarto Potere e 8 e 1/2, succederà anche per Blade Runner e Moulin Rouge!.

A proposito dell'autore

Avatar photo

Classe 1981, co-fondatore di CineRunner, ha iniziato come blogger nel 2009, ha collaborato con Sentieri Selvaggi. I suoi autori feticcio sono Roman Polanski e Aleksandr Sokurov. Due cult: Moulin Rouge (2001) e Scarpette Rosse (1948).