Storie pazzesche

Sei situazioni si intrecciano tra di loro: il passeggero di un aereo; una fidanzata e una cuoca in un fetido ostello; un pilota ritrovatosi in strane circostanze; un imprenditore si trova di fronte a far fronte ad un oscuro accordo; un ingegnere specializzato in demolizioni; una ragazza in procinto di sposarsi.
    Diretto da: Damiàn Szifròn
    Genere: commedia
    Durata: 122
    Con: Liliana Ackerman, Luis Manuel Altamirano Garcia
    Paese: ARG, SPA
    Anno: 2014
7.9

All’ultimo Festival di Cannes, si parlò tanto del nostrano Gran Premio della Giuria Le Meraviglie (sinceramente, un riconoscimento piuttosto generoso), un po’ meno della Palma d’Oro che venne assegnata al turco Nuri Bilge Ceylan per il bellissimo Il regno d’inverno. Per niente, la stampa italiana si soffermò sul film Relatòs Salvajes dell’argentino Damian Szifron, ovverosia Racconti selvaggi”.

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Oltre alla discutibile traduzione del titolo, in italiano Storie pazzesche, mi ha lasciato molto perplesso il modo con cui si sta cercando di vendere il film, assegnando a Pedro Almodòvar la titolarità dell’opera. Ed è un peccato perché bisognerebbe, invece, porre l’accento sulle capacità del suo vero autore, questo Szifron, che ha dimostrato un talento raro: la capacità di raccontare un Paese, l’Argentina, in maniera universale, attraverso feroci frammenti di vita, con le armi sempre apprezzate del grottesco e del sarcasmo.

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Se fossi stato uno dei membri della Giuria dell’ultimo Cannes, avrei fatto di tutto perché venisse assegnato un premio al sorprendente, violento e anarchico Relatos Salvajes. Il regista argentino racconta sei storia accomunate dall’esasperazione dei sentimenti, dall’istinto distruttivo e autodistruttivo dell’Uomo, schiacciato dall’oppressione delle istituzioni e succube dell’ambizione e del benessere economico. Alcune sequenze sono davvero indimenticabili , sorrette da un umorismo nero e da un gusto per la trovata spiazzante e beffarda che raramente si sono visti di recente sugli schermi: forse, siamo di fronte alla versione sudamericana dei ritratti cinici di Todd Solondz (Happiness) o di Ulrich Seidl (Canicola), a cui si deve aggiungere però una sanissima dose di pulp proveniente dalla poetica tarantiniana.

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Quel che è certo è che siamo di fronte a un cinema anti-intellettualistico, ancora in grado di scuotere convenzioni borghesi e di non essere accomodante nei confronti della platea del Festival più celebrato. In fondo, non sorprende così tanto che la giuria presieduta da Jane Campion non volle premiarlo. Ma di cosa parlano, in conclusione, questi “racconti selvaggi”? Non accenno volontariamente alle vicende assurde che sono al centro di questi irresistibili segmenti: non vorrei mai rovinarvi la sorpresa.

A proposito dell'autore

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Laureato in giurisprudenza e autore del blog Il bello, il brutto e il cattivo. Si innamora del cinema nel 1999, dopo aver visto Tutto su mia madre, L'estate di Kikujiro, Eyes wide shut... Oggi, i suoi autori di riferimento sono Paul Thomas Anderson e Lars von Trier. Attualmente collabora con la rivista di cinema Ciak.