Sils Maria

Una grande attrice di cinema e teatro, Maria Enders, si rifugia tra le montagne di Sils Maria, insieme alla sua giovane segretaria, Valentine, per preparare il ruolo di una piece teatrale che la rese famosa 20 anni fa. Maria dovrà lavorare con una nuova divetta del cinema pop-corn, con la quale avrà uno scontro generazionale.
    Diretto da: Olivier Assayas
    Genere: drammatico
    Durata: 124
    Con: Juliette Binoche, Kirsten Stewart
    Paese: FRA, SVI
    Anno: 2014
6.7

Sils Maria di Olivier Assayas è un capolavoro. Non lo è soltanto perché è il miglior film del regista francese di Qualcosa nell’aria, il più profondo. Lo è perché è uno di quei pochi titoli del Cinema odierno che non riserva barriere intellettuali, che riflette sul significato di un testo artistico, sul suo valore, sulla sua limitatezza, mettendolo in relazione con il Presente, con la contemporaneità e con l’evoluzione tecnologica. Sils Maria è un’opera complessa, impalpabile, fatta di molteplici facce e sfumature. Inganna, e abbandona suggestioni, che non concedono allo spettatore la possibilità di dare una quadratura del cerchio, una spiegazione agli eventi. Incanta, e poi sparisce.

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Si accarezzano tanti temi: la distanza tra generazioni, il rapporto tra finzione e realtà. Si pongono domande, ma non si danno risposte nette: è possibile che il Teatro sia una rappresentazione autentica dell’esistenza, è possibile che l’immedesimazione in un ruolo rispecchi l’essenza dell’interprete. Ma può darsi che non sia così: il Cinema, il Teatro, l’Arte non hanno il dovere di chiarire le oscurità della Vita, ma quello di “meravigliare”. Si può essere certi  soltanto dell’inevitabilità del punto di vista, dell’irrinunciabilità alla prospettiva. E  in questo modo, non solo il Cinema, non solo il Teatro, ma la Vita stessa può essere elaborata: rinunciando alla necessità dell’interpretazione e della giustificazione, ma accettando la propria condizione che è sempre e comunque mutevole e istantanea, inafferrabile e immateriale.

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Sils Maria non sarebbe, però, un capolavoro se non fosse sostenuto da una costruzione narrativa raffinatissima, “a orologeria”. Nel rapporto tra l’attrice Maria Enders e la sua segretaria Valentine, sottilissimo e magnetico, si nasconde una tensione graduale, pulsante, che esprime la potenza del film di Assayas: da una parte l’età matura, la difficoltà di prenderne consapevolezza; dall’altra la giovinezza sfrontata, e la facilità di relazionarsi con la propria immagine, che non è più soltanto corporea, ma anche virtuale. Il confronto tra questi due personaggi è uno scontro generazionale fiammeggiante, che contrappone due diversi modi di bellezza, di sentimento, di sensibilità. Nell’epilogo del film, si perderanno le tracce della giovane Valentine, ciononostante la sua presenza aleggerà su ogni comportamento della Enders.

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Infine, Juliette Binoche e Kristen Stewart. Supreme. La grandezza di Sils Maria si trova soprattutto nei loro volti e nelle loro espressioni. Se la prima è da venticinque anni una delle attrici di riferimento del cinema europeo (Gli amanti del Pont Neuf, Tre colori: Film Blu, Niente da nascondere), la Stewart fa esplodere letteralmente il suo potenziale: la sua Valentine è lucida e brutale, acerba e incisiva. Uno dei personaggi femminili più stratificati e affascinanti degli ultimi anni, destinato a uscire di scena improvvisamente ma a rimanere impresso nella memoria in maniera indelebile.

A proposito dell'autore

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Laureato in giurisprudenza e autore del blog Il bello, il brutto e il cattivo. Si innamora del cinema nel 1999, dopo aver visto Tutto su mia madre, L'estate di Kikujiro, Eyes wide shut... Oggi, i suoi autori di riferimento sono Paul Thomas Anderson e Lars von Trier. Attualmente collabora con la rivista di cinema Ciak.