Perez.

Un avvocato del centro direzionale di Napoli, Perez, è conosciuto per la sua assoluta integrità morale. Ma a seguito di eventi che gli sfuggiranno completamente di mano, sarà costretto a infrangere ogni regola, soprattutto per amore di sua figlia Tea.
    Diretto da: Edoardo De Angelis
    Genere: thriller
    Durata: 94
    Con: Luca Zingaretti, Marco D'Amore
    Paese: ITA
    Anno: 2014
5.6

Napoli, esterno notte. Il profilo del celebre golfo. La macchina da presa si abbassa e scivola inesorabile nel mezzo dei palazzi del moderno Centro Direzionale, accarezzando le vetrate metalliche. Un uomo fa jogging. Un urlo lacera il silenzio. Un tonfo. Un corpo a terra.

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Con questa semplice dialettica alto-basso e fuori-dentro, Edoardo De Angelis (all’opera seconda dopo Mozzarella Stories) prova a stabilire il clima morale di Perez., film che nelle (buone) intenzioni tenta di aggirare la routine e gli stereotipi delle storie ambientate a Napoli. La regia punta infatti a suggerire la situazione del topo in trappola, andando a incocciare sempre negli stessi e risaputi spigoli di un’esistenza ostinatamente in grigio. Avvocato d’ufficio che rifugge dalla luce dei riflettori, e lo sa benissimo, Demetrio Perez è più un ignavo che un vinto, avvezzo com’è ad abbassare la testa, a non assumersi responsabilità. La sensibilità crepuscolare che il film vagheggia avrebbe però bisogno di qualcosa di più della maschera tormentata di Zingaretti che si dibatte volente, ma molto più spesso nolente. Il suo contraltare è nel coraggio impudente e avventato della figlia Tea, innamorata di un camorrista, secondo una logica di incroci che rimanda orgogliosa al noir americano.

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Da questo punto in avanti per l’avvocato Perez è tutta discesa verso un previsto finale di resa dei conti: con se stesso, con le sue paure, con l’indolenza e con gli affetti più cari. Irrisolto e tortuoso nella prima metà, il film di De Angelis è anche troppo chiaro nella seconda, non mancando mai di ossequiare i luoghi canonici del genere. La presenza di Marco D’Amore nel ruolo del giovane e ambiguo malavitoso si rovescia in un O.K. Corral volutamente anticlimatico (dovuto forse al cosceneggiatore Filippo Gravino, già autore dello script dell’interessante Una Vita Tranquilla di Claudio Cupellini) in cui le barriere tra padre e figlia si sfaldano nel momento del pericolo. Sicuramente migliore è l’episodio notturno in cui Perez e l’amico Ignazio (il convincente Gianpaolo Fabrizio, lontano dalla macchietta di Bruno Vespa per Striscia la Notizia) tentano di recuperare una partita di diamanti dalla pancia di un toro, sequenza immersa nel grottesco che, rifacendosi al primo lavoro di De Angelis, emerge nella sua ironia a poco a poco. Ma è solo un piccolo lampo, che non lascia molte tracce nel corpo di un film che rischia paradossalmente proprio quell’abulia di cui taccia il suo periclitante protagonista.

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Ha una foto di famiglia: Lang è suo padre e Fassbinder sua madre. John Woo suo fratello maggiore. E poi c'è lo zio Billy Wilder. E Michael Mann che sovrintende, come divinità del focolare. E gli horror al posto dei giocattoli. Come sarebbe bello avere una famiglia così...