National Gallery

Il regista americano Frederick Wiseman penetra dentro uno dei più prestigiosi musei di tutto il mondo, la National Gallery di Londra. Wiseman si concentra sulle più ordinarie operazioni compiute dagli addetti ai lavori per portare milioni di visitatori a godere dei più famosi capolavori della Storia dell'arte.
    Diretto da: Frederick Wiseman
    Genere: documentario
    Durata: 180
    Paese: FRA, USA
    Anno: 2014
8.2

Frederick Wiseman, all’età di più di 80 anni, offre l’ennesima dimostrazione di un modo assolutamente unico di fare cinema, della capacità innata di scegliere una realtà sociale da documentare, farne il suo soggetto, e di raccontarla in tutte le sue sfaccettature, nel suo essere più vero e profondo, esattamente come si presenta, coerentemente con la sua consueta modalità di operare, senza che la sua presenza sia mai invasiva.

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Una presenza invisibile ma fondamentale, che si palesa attraverso un montaggio accuratissimo rivelante la selezione degli aspetti cui dare maggiore attenzione, senza mai raccontarli o spiegarli, all’interno di un enorme quantità di materiale girato durante le 12 settimane in cui il regista ha ottenuto l’autorizzazione ad accedere ai locali del noto museo londinese, giungendo al condensato di tre ore finali, tratte dalle 270 di riprese effettuate.

Un autore come Wiseman, noto per il suo tenersi al di fuori delle dimensioni che riprende, che abitualmente le racconta solo mediante il loro esistere, in questo caso aggiunge qualcosa, rendendosi percepibile nella scelta degli elementi da approfondire, degli aspetti da osservare, dei dialoghi da ascoltare; tutti ingredienti che rimandano un grande coinvolgimento, intimo e profondo, probabilmente trattandosi di arte ed essendone lui stesso un creatore, un artista, che riconoscendosi in qualche modo parte attiva nel soggetto da lui scelto, ne fa trasparire la passione; il che gli consente di penetrare le sfumature, i dettagli, le tonalità, che vengono totalmente restituiti, convogliati attraverso quella passione stessa.

Particolari che se fossero soltanto ripresi al fine di documentarli, per quanto accuratamente, non sarebbero in grado di trasmettere tanta vitalità.

Così, il cineasta americano, mette in scena un documentario accuratamente strutturato ma altrettanto pregno di linfa personale, intima, perfettamente distinguibile; un’opera incredibilmente viva, che pur fornendo una quantità enorme di informazioni, lungi dall’essere meramente nozionistica, è una rappresentazione dinamica di azione, di movimento, di vita; quella che scorre all’interno del museo, che attraversa i fruitori della sua arte quando vi entrano in contatto, quella che intercorre tra un dipinto e chi lo guarda, tra una stanza e chi la cura, che passa attraverso la luce, il colore, il legno, l’ombra, tutto ciò che si trova all’interno di un luogo che viene curato maniacalmente per ottenere un risultato che poi è assolutamente unico per ognuna delle persone che vi partecipano, ne usufruiscono, ne godono.

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Oltre a offrire un esaustivo e importante contributo che consente allo spettatore un incontro con l’arte e con le innumerevoli possibilità di rapportarvisi, di riceverla, di parlarci, Wiseman estende la riflessione a tutta una serie di aspetti ad essa correlati che aprono altrettante finestre, dando luogo a un mosaico straordinariamente variegato e pregnante.

Dagli aspetti economici che ruotano intorno alla fruizione dell’arte e che comprendono i fondi ad essa assegnati, la gestione della pubblicità, i budget continuamente ridiscussi, ai condizionamenti che lo scorrere del tempo inevitabilmente producono sul rapporto tra essa e chi ne beneficia, esemplificati nell’utilizzo di dispositivi figli del progresso, come i cellulari o anche nella semplice ma ormai connaturata luce elettrica e in come essa possa alterare la ricezione di un’opera che l’artista aveva pensato e realizzato senza che quest’ultima ancora esistesse.

Il tempo gioca un ruolo fondamentale in quest’opera.

È ribadito diverse volte quanto sia importante il contesto storico nel quale le opere d’arte sono state create, nonché quello che vi è rappresentato. E Wiseman, inserisce abilmente entrambi in quello attuale rendendo assolutamente fluido il rapporto che intercorre tra i tre.

Un tempo che danneggia, altera, condiziona, evolve, ma per quanto imprescindibile, non ha il potere di oscurare la grandezza e l’eternità dell’arte.

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È molto singolare il punto di vista attraverso il quale il regista sceglie di mettere in scena questa realtà multiforme.

Egli non sceglie né il pubblico, né le opere come fulcro sul quale focalizzare la sua attenzione e costruire l’equilibrio di un sistema così complesso; non li sceglie come tramiti per comunicarlo, non vi sono interviste che raccontano le impressioni delle persone che visitano il museo, né si sofferma mai troppo su un’opera in particolare.

Vi svolazza introno, le cita, le guarda, ma non sono loro il centro, ciò su cui si sofferma è sempre e soprattutto quello che passa in mezzo tra l’opera e chi ne fruisce, cerca di captare l’anima di entrambi, e con questo crea uno scambio prezioso e inspiegabile che va al di là di ogni distanza spaziale o temporale.

E allora vediamo al massimo catturare gli sguardi di chi sta vivendo il suo personale incontro con l’opera, quasi li ruba Wiseman, senza intrudere oltre, senza invadere quello spazio sacro.

O di un’opera, di un autore, vediamo poche immagini e la chiara intenzione di orientarsi sulle possibili modalità con cui un artista possa aver veicolato sé stesso, illustrate dalle guide o dagli altri operatori del museo, ma con grande delicatezza, ponendo qualsiasi interpretazione sempre in forma ipotetica, non dandole mai un valore assoluto.

Grande la capacità di rappresentare il controverso rapporto tra sostanza e forma.

Un’attenzione maniacale alle cornici, al vetro che copre i dipinti, alla luce con la quale mostrare l’opera, a tutti gli aspetti formali di una sostanza che in realtà li comprende, nel senso che la forma è parte stessa di quella sostanza, la veicola, non la altera, ma la estende, fa da amplificatore a qualcosa che è grande di per sé.

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È tutto un dialogo.

Il passaggio dell’essenza di un’arte di tutti, attraverso i più svariati canali è centrale.

Dialogo tra arti diverse.

Dialogo tra operatori.

Dialogo tra il museo e i suoi visitatori.

Dialogo attraverso il tempo, mediante la luce, il colore, il tipo di legno, ma sempre dialogo.

Tanti linguaggi.

E lui vi si inserisce con il suo, che diventa esso stesso un arte.

Quello che osserviamo, il regalo che Wiseman ci fa con questa sua ultima fatica, non è l’arte in sè, ma il suo infinito potere, la vita che sprigiona, un respiro, un profumo, che diventa un tutt’uno con i sensi che lo percepiscono, con la mente che ne trae infinite idee, con il corpo, con l’anima.

Unisce musica, danza, poesia, arte figurativa, come se fossero un’unica dimensione, senza negare a nessuna di esse la propria singolarità.

Una forza che compie una vera e propria danza attraverso queste meravigliose stanze vive che la ospitano e ci parlano, rappresentata perfettamente nella straordinaria scena finale.

A proposito dell'autore

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Appassionata di cinema da sempre, tanto da considerarlo un fedele compagno di vita e una malattia ormai felicemente incurabile e irrecuperabile. Ha sempre inserito questa grande passione nel suo lavoro di psicoterapeuta, utilizzando il cinema come vero e proprio strumento terapeutico, scrivendo una tesi e articoli scientifici a riguardo e effettuando sedute di cinematerapia sia individuali che di gruppo. Ha collaborato e collabora con diverse riviste, come Cinefarm, Cinematografo.it, Artnoise.