Fury

1945. La Seconda Guerra Mondiale è alle sue fasi conclusive. Un gruppo di cinque uomini, capitanati dal sergente Wardaddy, è impegnato in una proibitiva missione tra le linee nemiche. All'interno di un carro armato Sherman, la pattuglia tenta di sferrare un attacco mortale ai nazisti.
    Diretto da: David Ayer
    Genere: guerra
    Durata: 134
    Con: Brad Pitt, Shia Labeouf
    Paese: USA, CINA
    Anno: 2014
7.1

Parte nel fango e finisce nel sangue: come quasi tutti i film di guerra. Fury del mestierante David Ayer (I giorni dell’odio, End of Watch) incarna fino al midollo il genere, scivolando a bordo d’un carro armato tra una postazione e l’altra, una carneficina e l’altra e la solfa rumorosa, ma non roboante, dei campi di battaglia: pallottole e granate, ma anche il nonnismo che si fa cameratismo, la tiritera sul “quanto è dura la guerra”, le citazioni bibliche, le reclute sbarbatelle (Shia LaBeouf) ed il sergente che la sa lunga (Brad Pitt). Samuel Fuller lo faceva decadi or sono (meglio).

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Non c’è molto da aggiungere alla trama di Fury, se non segnalarne la cornice: fine seconda guerra mondiale, con un’unità di cinque soldati americani che avanza tra le linee nemiche tedesche. Il quadro consiste in una serie di scenari illividiti, in cui i soldati dall’anima nera si muovono cercando di mantenere qualche brandello di candida umanità tra gli svolazzanti brandelli di carne. Ci si concede persino la parentesi di un romanzetto carnale american-teutonico, prima dell’accelerazione verso un finale tutto combustioni e fotografia aranciata, con lo scontro che quasi pare il pretesto per una virata verso gli orizzonti di Sam Peckinpah. Col difetto, però, di riuscire più somigliante a Rodriguez.

Norman (Logan Lerman) and Boyd "Bible" Swan in Columbia Pictures' FURY.

Fury non è girato male, ma sotto la corazza metallica del carro armato da cui prende il nome non c’è molto. Ayer mette carne al fuoco, ma solo fisicamente parlando: ne vien fuori un film d’azione che sballotta da un contesto all’altro generando più morti che un vivo senso dell’interesse. Brad Pitt guida bene la truppa degli attori, in cui il personaggio dell’indifeso e orgoglioso LaBeouf è dello stesso pomposo patetismo dell’insopportabile colonna sonora di Steven Price. Che, almeno, a tratti copre i dialoghi fuoriusciti dagli anni ’50. Si lascia guardare per intensità, ma questo succede anche ai trailer dei videogiochi: dove bisognerebbe guadagnarsi i gradi è nella forza drammatica, laddove Fury belligera come un soldato alle prime armi.

A proposito dell'autore

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Professore di storia dell'arte e giornalista pubblicista, professa pubblicamente il suo amore per l'arte e per il cinema. D'arte ha scritto per Artribune, Lobodilattice, Artslife ed il trimestrale KunstArte, mentre sul cinema, oltre a una miriade di avventure (in corso) da free lance, cura una rubrica sul quotidiano "Cronache di Salerno" ed in radio per "Radio Stereo 5".