Transcendence

Futuro prossimo. Will Caster è uno dei più stimati ricercatori nel campo dell'intelligenza artificiale, i suoi studi sono orientati verso la costruzione di un organismo ciberentico senziente. Il suo lavoro attira l'attenzione di una setta anti tencologica che farà di tutto per fermarlo.
    Diretto da: Wally Pfister
    Genere: fantascienza
    Durata: 119'
    Con: Johnny Depp, Rebecca Hall
    Paese: UK, CINA
    Anno: 2014
5

Se l’intenzione di Wally Pfister era quella di mettere in guardia lo spettatore/utente dai pericoli della rete e di una eccessiva fiducia nei confronti della tecnologia, Transcendence ha un effetto scolastico e pedagogico che non sorprende più di tanto. Se invece il motivo di un film puramente di genere come questo è quello di smarcarsi dal mentore Christopher Nolan, allora il discorso cambia radicalmente e si può provare a cercare, tra le righe, dove Pfister abbia “rubato” alla genia di Nolan, e dove abbia tentato di offrire delle variazioni, dal canovaccio del cinema “mind blowing” tutto di testa, un cinema, dove il congegno narrativo è poggiato sul gesto balistico valente come esperienza di un’impronta cognitiva, che generi un surplus immaginativo immarcescibile nel tempo.

Da questo punto di vista (forse poteva essere ovvio anche prima della visione), Pfister ha ancora molto da imparare dal suo illustre mentore. C’è anche da dire che Nolan, a differenza di Pfister, per il suo primo film, Following (1998) non ebbe a disposizione 100 milioni e star del calibro di Johnny Depp, Rebecca Hall e Morgan Freeman.
Esordire con un cast all-star è già di per sé una fortuna sfacciata, ma Pfister, avendo vinto l’Oscar per la miglior fotografia di Inception aveva già giocato bene le sue carte in precedenza.
Ora, con questo Transcendence si è ritrovato in mano l’occasione di poter illustrare la sua personale visione sulla contemporaneità invasa dalla tecnologia, sommersa dai device, dove l’iperconnessione genera, come effetto contundente, il rischio costante dell’alienazione. Vi ricorda niente l’assunto ideologico? Esatto: siamo dalle parti del vortice (extra)sensoriale di Lei di Spike Jonze, con Joaquin Phoenix innamorato di una donna che non esiste.
Per la seconda volta in pochi mesi si assiste ad un mea culpa, la formazione di un’autocoscienza del vivere in un bozzolo protetto, la sensazione della perdita come male da estirpare (la separazione che genera solitudine in Jonze, la morte dell’amato di Pfister), il nodo conclusivo da cui l’utente globale deve scappare: fuggire dalla realtà, producendo un doppio che forgi una realtà alternativa, edulcorata, che sia ad immagine e somiglianza del suo creatore.
Da un lato, quindi, si plaude al gesto teorico, dall’altro ci si innervosisce per la carente riuscita estetica e narrativa, perché, se è vero come hanno detto alcuni critici, che in Inception (2010) Nolan è interessato a spiegare ogni singolo passaggio all’interno dell’intricata, ma a conti fatti perfetta, struttura narrativa del film, in Transcendence le spiegazioni arrivano con una frontalità e una pedanteria, che sa di morale preconfezionata.
Pfister sa come costruire la tensione, ma quando deve far progredire verso il romance e il thriller, il rapporto tra immagine e script si incrina e il cinema non riesce a trasformarsi nel parallasse di una disputa tra cuore e mente, come avviene nel cinema di Nolan da The Prestige a Inception, rimanendo lo sterile rimasuglio di un’emozione già consumata.
E’ un peccato perché le premesse erano più che buone (il salvataggio della memoria di Will Caster in una macchina senziente è il back-up da una “macchina organica” ad un device in organico), ma il regista, di formazione direttore della fotografia, Pfister può arrivare ad illuminare bene una scena, scegliere l’angolazione esatta, costruire un’adeguata risonanza grafica all’interno del quadro, ma la costruzione di un’alchimia tra i personaggi ne risente enormemente, adagiandosi alla illuminazione di una formula affascinante, tale da destare solo un vago interesse su una tesi espressa attraverso uno scenografismo a tratti interessante, ma esteticamente ancora acerbo. Pfister rimandato ad una seconda prova, magari con un budget più basso. Il finale di questo suo ultimo film dovrebbe metterlo in allarme e capire che è l’assenza del device che genera cinema (Inception su questo punto è stato seminale), non un surplus indifferenziato.

A proposito dell'autore

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Classe 1981, co-fondatore di CineRunner, ha iniziato come blogger nel 2009, ha collaborato con Sentieri Selvaggi. I suoi autori feticcio sono Roman Polanski e Aleksandr Sokurov. Due cult: Moulin Rouge (2001) e Scarpette Rosse (1948).