Killer in viaggio

Tina, una ragazza che vive con una madre oppressiva, parte in caravan con un ragazzo che ama, Chris. Investono per sbaglio uno sconosciuto. Inizia una sarabanda di omicidi.
    Diretto da: Ben Wheatley
    Genere: commedia nera
    Durata: 88'
    Con: Alice Lowe, Eileen Davies
    Paese: UK
    Anno: 2012
6.9

Sightseers (letteralmente “turisti”, titolo essenziale e allusivo che i titolisti italiani modificano in Killer in viaggio, togliendo suspense fin da subito) è il terzo lungometraggio dell’inglese Ben Wheatley, quarantenne regista dal passato televisivo. I due precedenti, Down Terrace (2009) e Kill List (2011), sono dirompenti, brutali e imprevedibili: manco a dirlo, sono inediti nel nostro paese.

Killer in viaggio è sicuramente inferiore ai due film citati e ha deluso i fan della prima ora; la vicenda scritta proprio dai due attori protagonisti, Alice Lowe e Steve Oram, ha un sapore anticonvenzionale forse troppo studiato per non sembrare un gioco senza spessore teso solo a spiazzare lo spettatore. Nel complesso, però, diremmo che la mano di Wheatley (che ha già terminato il suo nuovo film, l’horror A Field in England) è riconoscibile e tutt’altro che tenera. In questo viaggio turistico di due disadattati che diventano assassini seriali, l’ironia si smorza per cedere il passo ad una logica stralunata e, paradossalmente, piccolo-borghese. Cosa c’è di più ordinario di una coppia di fidanzati non troppo giovani che intraprendono un viaggio con roulotte al seguito per vedere alcuni luoghi e monumenti storici della cara, vecchia Inghilterra?
In fondo, gli omicidi sono quasi incidenti di percorso che seguono gli umori della coppia e le loro frustrazioni, a cominciare dal primo, quando Chris uccide il lui di un’altra coppia incontrata per caso e rivelatosi, contrariamente al protagonista, uno scrittore “vero” (dice di essere al suo terzo libro, mentre Chris blatera inutilmente di scriverne uno, ora che ha trovato in Tina la sua musa). Tina, d’altra parte, è rimasta succube per oltre trent’anni di una madre iperprotettiva, e adesso vuole spassarsela un po’, anche sessualmente. Motivo per cui reagisce furiosamente contro la futura sposa che nel suo addio al nubilato si getta lasciva su Chris. I magnifici scorci delle impassibili campagne e dei brulli rilievi inglesi fotografati da Laurie Rose sono funzionali al racconto, secondo una tradizione narrativa che risale almeno a Thomas Hardy, e Wheatley vorrebbe che i due amanti omicidi suscitassero un po’ della nostra pietà, rimescolando i nostri sentimenti al di fuori di ogni moralismo: se non gli riesce è forse perché alcune cose sono troppo cariche e impostate e trasformano Chris e Tina in due freaks, fautori di un omicidio “ecologico” che può ormai scandalizzare solo le anime pie.
Eppure, in questa commedia nera che strozza la risata in gola (ne è un bell’esempio il flashback che rivela la fine, un anno prima, del cagnetto Poppy), la regia trova momenti di grande stile, come la conclusione sul grande viadotto di Ribblehead, nello Yorkshire del Nord, quando The Power of Love dei Frankie Goes to Hollywood si apre in tutto il suo splendore sulle vicende assurde di questi mediocri. E questo benché il beffardo finale confermi il difetto capitale del film, troppo intenzionale nel suo desiderio di mettere a soqquadro le certezze degli spettatori. I quali, probabilmente, tengono anche loro un peluche sul cruscotto.

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Ha una foto di famiglia: Lang è suo padre e Fassbinder sua madre. John Woo suo fratello maggiore. E poi c'è lo zio Billy Wilder. E Michael Mann che sovrintende, come divinità del focolare. E gli horror al posto dei giocattoli. Come sarebbe bello avere una famiglia così...